Né il nuovo 'figlio del vento' Usain Bolt, né l'enfant prodige del nuoto cinese Ye Shiwen, né le 46 medaglie d'oro conquistate dagli USA. Inutile negarlo, è stata Londra la vera vincitrice della trentesima edizione dei Giochi Olimpici.
E con essa l'intera Gran Bretagna, piacevole sorpresa sportiva con il suo terzo posto finale, che ha mostrato al mondo una capacità organizzativa seconda a nessuno e dalla quale si dovrebbe prendere esempio.
Un risultato che viene da lontano, dal momento in cui sette anni fa la capitale britannica è stata scelta come città ospitante dei Giochi, e mai frutto del caso.
Continui test sugli impianti, un'attenzione a tratti forse esagerata alle norme di sicurezza, esercitazioni che hanno coinvolto pedoni, ciclisti ed automobilisti, informazioni date ai cittadini con larghissimo anticipo anche attraverso canali telematici quali posta elettronica ed sms. E non solo.
Mezzo miliardo di sterline speso in forze di sicurezza e protezione civile, oltre ad un'esercito di 70,000 volontari che ha reso la capitale una città ancora più accogliente ed efficiente, in particolare nei trasporti urbani dove i disagi sono stati ridotti al minimo non solo per i visitatori, ma anche per i milioni di pendolari che ogni mattina si spremono in metropolitana per andare al lavoro.
E nell'ambito strettamente sportivo, stadi e palazzetti bellissimi, sicuri e sempre pieni, con un pubblico di ogni estrazione sociale ed un senso di fratellanza che si poteva respirare ad ogni angolo.
Londra ha vinto, e con essa hanno vinto tutte le nazioni partecipanti, ed in particolare Grenada, Bahrain, Botswana, Cipro, Gabon, Guatemala e Montenegro che per la prima volta nella loro storia sono salite su un podio olimpico.
Il successo delle Olimpiadi ha anche mascherato quelli che sono stati i momenti 'no' dei Giochi, a partire dalle polemiche sui tweet razzisti (o presunti tali) dell'atleta greca Voula Papachristou, alle bocche cucite dei calciatori gallesi e scozzesi durante l'inno God Save The Queen, al rifiuto di scendere in campo da parte della Corea del Nord dopo che allo stadio era stata issata la bandiera dei 'nemici' della Corea del Sud.
E ancora, lo scandalo del badminton in cui Cina e Corea del Sud hanno deliberatamente giocato per perdere scatenando l'ira degli spettatori (profumatamente) paganti, fino alla protesta civile ma giustificata di Taiwan dopo che l'Ufficio Esteri di Londra ha ne rimosso la bandiera in seguito alle pressioni del sempre più influente governo cinese.
E, come spesso accade, l'euforia sportiva ha anche aiutato a dimenticare quanto in termini economici i Giochi siano costati alle tasche dei cittadini britannici: 9,3 miliardi di sterline, quasi quattro volte il costo con cui Londra si era candidata al Comitato Olimpico Internazionale, dei quali quasi mezzo miliardo spesi per uno stadio che, dopo il timido interesse di qualche società di calcio, ora nessuno sembra più volere.
Costi astronomici, che se nel lungo termine potranno generare un ritorno economico adeguato, nell'immediato si spera almeno servano per dare nuova linfa a quella parte della città , l'East End, dove ora sorge il Parco Olimpico e dove povertà , disocuppazione e criminalità sono state fino ad oggi all'ordine del giorno.