Una terra dai malinconici e romantici panorami di leopardiana memoria, alternati dagli storici scorci dei borghi più belli d’Italia, cinta come uno scrigno prezioso ad ovest dai Monti Sibillini, a levante dal mare Adriatico: la regione Marche. Un insaziabile e variegato spettacolo di scenari naturali culla i suoi fedeli abitanti, le formiche d’Italia. Questo è l’ambiente in cui vive il solerte e instancabile lavoratore marchigiano, dedito alla sua occupazione con ieratica devozione e spirito di sacrificio, in luoghi poco popolosi in cui il lavoro artigianale è qualcosa di più di un semplice valore da trasmettere, perché diventa concetto primario e si eleva a stile e filosofia di vita. Difficilmente il marchigiano parla troppo. Lavora. E il frutto del suo sudore e della sua interminabile creatività ha forgiato un vero e proprio diamante, celebre in tutto il mondo per la qualità e la ricercatezza delle sue componenti: la scarpa marchigiana. Ecco allora i mostri internazionali di Tod’s, Santoni, Paciotti, Fabi, Loriblu, Nero Giardini e altre aziende di dimensioni inferiori, che stanno espandendosi nei mercati di nicchia come Brimarts, Corvari, Lanciotti, Lemaré, Rossi, ecc.
E non è un caso se i marchi dell’alta moda tipo Prada, Armani, Gucci, Dsquared e Iceberg hanno trasferito le loro sedi produttive nel distretto calzaturiero marchigiano.
L’intero comparto della scarpa è concentrato quasi esclusivamente nelle zone costiere del fermano e del maceratese e costituisce l’eccellenza regionale più importante, vantando l’area più estesa d’Italia per questo settore produttivo. Solo in questo territorio infatti avviene più dell’ottanta per cento della produzione di calzature italiane. Un prezioso punto di forza per l’economia del territorio, la Mecca del lusso per gli amanti delle scarpe.
In un sistema ancora saldamente ancorato alle tradizioni coesistono piccoli artigiani, con la bottega sotto casa come una volta e dividono la stessa passione delle grandi aziende, leader del mercato globale; entrambe le realtà sono unite da quella marchigianità verace che commina orgoglio, intuizione, zelo e cordialità. Le imprese attive addette al settore attualmente superano abbondantemente le quattromila unità ed esportano qualcosa come due miliardi e quattrocento mila euro l’anno, cifra in contrazione rispetto agli anni precedenti, ma che rimane di primissimo rilievo per l’economia delle Marche. Le nostre calzature sono apprezzate principalmente in Germania, che coronano il loro primato d’importazione sfiorando i duecento milioni di euro, seguono poi nazioni come gli Usa, la Francia, la Russia, la Svizzera e il Regno Unito. Il settantuno per cento delle aziende marchigiane calzaturiere è di carattere artigianale e rispetto al 2016 ha subito una considerevole diminuzione a causa della cessazione di molte attività, dovuta principalmente alle pesanti ed esemplari sanzioni che l’Ue ha disposto nei confronti della Russia, alla concomitante crisi economica generale e all’elevata pressione fiscale che sottrae liquidità vitale a tutti i livelli produttivi e distribuivi della filiera calzaturiera; per avere un’idea più chiara dell’ultimo fattore, basti pensare che un imprenditore marchigiano inizia a guadagnare per se stesso solo dopo la prima decade di agosto, mentre il suo collega inglese consegue utili a partire dall’ultima settimana di aprile.
Gli investimenti purtroppo sono stati frenati da tutte queste variabili e solo dieci imprese su cento provano a scommettere sulla ripresa reimpiegando capitali nell’azienda per conseguire un upgrade. Tirando le somme quindi i numeri generali si mantengono ancora elevati, ma abbisognano di un catalizzatore che acceleri le condizioni favorevoli alla crescita.
Ogni anno viene erosa una fetta non proprio irrilevante di valore produttivo ed economico del settore calzaturiero e alla lunga potrebbe comportare una preoccupante destabilizzazione al comparto della scarpa, che da sempre è parte dell’identità genetica marchigiana, segnata dal profondo e inimitabile successo di quella rappresentazione naturale e concreta del genius loci delle Marche.
Carlo Trecciola